L’arte è arte e la chimica è chimica… Due branche così diverse tra loro nell’immaginario umano, ma così vicine nella realtà, perchè l’una non esclude l’altra, anzi. Il loro collegamento è frutto di secoli di studi che le connette. Dall’emergere di un semplice pigmento nato anche per puro caso dalla combustione, come il nero del carbone usato dai primi pittori del Paleolitico, al rosso dell’ematite, le cui caratteristiche strutture reticolari sono alla base delle peculiarità dello stesso, ma entrambe sono il risultato di una reazione chimica. Con il passare degli anni i pigmenti si sono evoluti, passando per i misteriosi egizi, i quali grazie allo sviluppo dell’alchimia, erano in grado di preparare la biacca, che se scaldata a secco in apposite fornaci, produceva un ossido di piombo giallo e, quando la temperatura era più elevata, un ossido di piombo di tonalità rossa, senza dimenticare la loro capacità di produrre il colore blu dalla fusione di sabbia bianca, con malachite e gesso o dai lapislazzuli provenienti dall’Afghanistan. Era noto che i pittori producessero da sé i colori, mescolando sostanze naturali secondo ricette custodite gelosamente, pigmenti a seconda della tipologia di pittura e della ‘tela’ che avrebbero poi utilizzato, impiegando sostanze minerali oppure organiche, dosate in modo da ottenere una gamma infinita di sfumature. Si utilizzavano pietre dure triturate, come il lapislazzuli, o spezie come lo zafferano, per il giallo, fiori ed erbe pestati e lasciati in infusione per sfumature di ogni genere, cera d’api, oli essenziali e perfino il tuorlo d’uovo. Nel corso del Rinascimento comparvero altre tonalità di giallo a base di piombo e di arsenico, i verdi al rame e i rossi vermiglione e cremisi estratti dagli insetti, facendo strada al proverbiale rosso Tiziano, ottenuto miscelando i vari ossidi di ferro. Ma l’alchimia, che fino a quel momento era stato alla base della creazione dei colori, è stata la prima forma di chimica, una branca a metà tra scienza ed esoterismo, nota come la disciplina volta a scoprire come trasmutare il metallo in oro, ma che alla fine del ‘700, cedette il passo alla vera chimica sviluppando ancora di più il rapporto tra pittura e scienza, mettendo a disposizione dell’arte una gamma di colori e di tonalità che fino a quel momento erano impensabili, come il giallo arancio dei cromati e i verdi degli acetoarseniati di rame, colori che permisero di manipolare la luce dei dipinti. I nuovi pigmenti avevano un altro, non trascurabile, vantaggio: costavano relativamente poco, ma avevano a loro carico un problema ben più grave che solo negli anni successivi è stato svelato, la loro elevata tossicità, come i cromati usati da Van Gogh per dipingere ‘i Girasoli’, il verde smeraldo usato da Cézanne o ancora l’aranciato usato da Matisse per dipingere ‘La stanza rossa’; tossicità, adesso, associata a molte infermità degli artisti in questione. Solo agli inizi del ‘900 questi pigmenti sono stati sostituiti da sostanze sintetiche che presentano bassa tossicità.
Ma il rapporto Chimica e Arte non si conclude con il semplice apporto dei colori… Prossimamente potremmo scoprire altri punti che legano queste due discipline.